Palazzo Biscari a Catania, la Sicilia che stupisce e incanta con il suo Barocco principesco

Paternò Castello, principi di Biscari. Questa la storica Famiglia siciliana che diede origine al palazzo che oggi domina una parte del centro storico di Catania, Palazzo Biscari appunto. Splendido con i suoi ricami bianchi in pietra che contornano grandi finestre incastonate in pareti scure. Lo stile degli storici edifici catanesi etnei dove domina il contrasto cromatico che richiama il nero della lava e il bianco delle nuvole.

Ne illustro brevemente la storia e i fasti in un video che fu girato nella seconda metà di agosto 2018 e che adesso ho ri-assemblato aggiungendo anche un paio di immagini e titoli graficamente conformi ai miei precedenti.

Edificio ideato nella sua parte iniziale a fine 1600 quando Ignazio Paternò Castello III Principe di Biscari ottenne nel 1693 il permesso all’edificazione e alla soprelevazione della struttura. Infatti, l’edificio nobiliare doveva sorgere su una porzione delle antiche mura cinquecentesche erette intorno a Catania, per essere più precisi, sul lato delle fortificazioni che si affaccia verso il mare e il porto. Il progetto fu redatto dall’architetto Alonzo Di Benedetto che, insieme ad altri, fu tra i protagonisti della ricostruzione di Catania dopo il disastroso terremoto del 1693.

Le acque dello Jonio erano a pochissimi metri dalle mura. Oggi non più, il mare e il porto sono più lontani. Nel mezzo un nuovo spazio “terrestre” su cui, un paio di secoli dopo, furono innalzati anche i noti “archi della marina” che sostengono il prolungamento della ferrovia da e per Siracusa.

Tornando a Palazzo Biscari (ricca descrizione sul sito web dello storico edificio), fu il figlio di Ignazio III, Vincenzo (1685-1749), IV Principe di Biscari, a proseguire l’opera e la visione paterna arricchendola. Lavori completati poi dal successore, Ignazio V (1714-1786), nipote del precedente Ignazio e realizzatore della massima magnificenza ideata e voluta per la Residenza: all’artista messinese Antonino Amato fece realizzare le decorazioni-sculture che arricchiscono i finestroni; tra gli artisti chiamati ad abbellire gli interni, Giovanni Battista Piparo che aveva già realizzato gli affreschi (la Gloria di San Benedetto) del refettorio al monastero di San Nicolò l’Arena, una Assunzione di Maria Vergine nella volta della sacrestia e in precedenza affreschi raffiguranti gli Evangelisti sui pennacchi all’interno della cupola nella chiesa di chiesa di San Placido.

Completando l’edificio, Ignazio V fece in modo di trasformarne ampi locali a Museo archeologico, numismatico, naturalistico aperto a tutti gli studiosi. Alla fine, nel 1763, concluso ogni lavoro, il Palazzo era magnifico e l’inaugurazione avvenne con la partecipazione delle nobili famiglie siciliane (e non solo) a una grandiosa festa.

Lo stesso Ignazio, grande studioso e archeologo, riportò alla luce, in pieno centro di Catania, gli imponenti i resti del Teatro romano edificato su preesistente struttura greca: col passare dei secoli la struttura fu in parte inglobata da palazzi, ma il Principe di Biscari riuscì a liberare l’antica costruzione.

Foto © Giuseppe Grifeo

Breve descrizione di Palazzo Biscari

Grande ingresso da via Museo Biscari e da qui si passa in un ampio cortile dominato da un’ampia e doppia scalinata che conduce al grande portale del piano nobile. Da lì si entra in una grande sala dove dominano numerose tele con i feudi che appartenevano ai Principi di Biscari.

Di seguito la Sala Verde, lo sguardo gira tutto attorno verso quadri e sovrapporte mentre si cammina su pavimento di cotto con intarsi di pietra bianca di Siracusa.

Antenati tantissimi ti osservano dai quadri della Sala Rossa, passaggio obbligato per entrare nel grande Salone detto “dell’Orchestra” e, particolare non da poco, indice dei tempi, le sovrapporte sono decorate da vedute di Napoli e d’intorni, la città partenopea come capitale dei regni del Sud.

Uno sguardo al soffitto ed ecco comparire gli affreschi che celebrano Casa Biscari, mentre un ballatoio ripercorre tutto il perimetro in cui la volta ovale e le mura si incontrano: un elemento unico e insolito che conduce a una cupola dove, nel passato, sedevano i musici, lì in alto seduti e non visti dagli invitati, a dare vita alle note in maniera discreta e appagante.

Johann Wolfgang von Goethe a Palazzo Biscari esplorando la Sicilia, dalla sua opera “Viaggio in Italia”

Uno dei preziosi interni a Palazzo Biscari

Il celebre scrittore e poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe, grande uomo di lettere dal respiro europeo, ma anche dedito alla pittura e alla musica, alla scienza, alla filosofia e alla teologia, è ben noto anche per il suo viaggio in Italia iniziato il 10 settembre del 1786 quando aveva 37 anni. Del suo lungo peregrinare nella penisola e nelle isole, qui inserisco un estratto della sua esplorazione siciliana, proprio il punto in cui, stando a Catania, andò in visita a Palazzo Biscari.

Catania, giovedì 3 maggio 1787 – «L’abate, il quale era venuto fin di ieri sera a fare la nostra conoscenza, comparve stamane per tempo, e ci portò nel palazzo Biscari il quale non ha che un solo piano molto alto, ed ivi ci fece vedere per la prima cosa il museo, dove trovansi radunate statue in marmo, ed in bronzo, vasi, e varie altre specie di oggetti antichi. Trovammo ivi di bel nuovo occasione di allargare le nostre cognizioni, e più di ogni altro oggetto ci colpì la caduta di un Giove, della quale io aveva vista già la riproduzione in gesso nello studio di Tischbein, ma che porge, nell’originale, pregi ben maggiori di quanto avrei supposto. Un famigliare di casa ci forniva le notizie storiche occorrenti, e finimmo per entrare in un ampia sala, dove le molte sedie appoggiate alle pareti, lasciavano luogo ad argomentare dovesse ivi radunarsi talvolta società numerosa».
«Intanto sedemmo, prevedendo buona accoglienza. Cominciarono ad arrivare due ragazze, le quali presero a camminare sù e giù per la stanza, parlando fra loro. Allorquando ci passarono davanti l’abate si levò in piedi, io ne feci altrettanto, e salutammo. Domandai chi fossero quelle due giovani, e l’abate mi rispose che una era la principessina, l’altra una signorina nobile di Catania. Tornammo a sedere; e le due signorine continuarono a passeggiare sù e giù per la sala, come avrebbero potuto fare sur una piazza».
«Fummo poscia presentati al principe, il quale siccome già mi era stato detto, ci usò particolari riguardi, facendoci vedere la sua raccolta di monete […] Ed anche questa volta allargai d’alquanto la cerchia delle mie cognizioni in questo ramo, ponendo attenzione a non scostarmi menomamente dalla traccia segnata dal Winckelmann la quale serve di guida sicura, a traverso le varie epoche. Il principe, versatissimo in quella scienza, scorgendo in me non già un conoscitore, ma unicamente un dilettante, volle cortesemente essermi largo di ammaestramenti, e di spiegazioni».
«Dopo avere dedicato un certo tempo, tuttochè troppo scarso, ad esaminare quelle rarità, eravamo sul punto di congedarsi, allorquando il principe ci volle portare ancora nel quartiere della sua signora madre, dove vi erano tuttora alcuni oggetti d’arte a vedere».
«Trovammo una gentildonna di aspetto distinto, di modi semplici, la quale ci accolse con molta naturalezza, dicendoci “Guardate qui tutto attorno a me, signori, troverete tutte le cose ancora, quali le aveva raccolte ed allogate, la felice memoria di mio marito. Sono debitrice alla bontà d’animo di mio figliuolo, non solo di avere voluto che io continuassi ad abitare il quartiere migliore del palazzo, ma ancora che non fosse tolta o dissestata in queste stanze la menoma cosa, di quanto vi aveva radunato ed allogato il povero suo padre; onde io ho il doppio vantaggio, sia di potere continuare a vivere secondo le mie abitudini di tanti anni, sia di potere fare, come ora, la conoscenza dei forastieri distinti, i quali vengono visitare le nostre rarità, raccolte e radunate da tanti diversi siti”.».
«Ed allora quella buona signora ci aprì dessa stessa la bacheca a vetri, dove stavano gli oggetti in ambra. Quella di Sicilia si scosta da quella delle contrade settentrionali, in ciò, che tanto quella trasparente, quanto quella opaca di colore di cera ovvero di miele, assume tutte le variazioni di tinte, dal giallo che pare raso, al più bel rosso di giacinto. Vi erano urne, vasi, ed altri oggetti lavorati e scolpiti, pregevoli taluni non solo per il magistero dell’arte, ma ancora per la mole. La signora godeva nel farci ammirare questi oggetti, come parimenti conchiglie lavorate ad intaglio, le quali si eseguiscono a Trapani, nonchè lavori in avorio, narrandoci anneddoti relativi alla collezione. Il principe ci faceva osservare gli oggetti degni di maggiore attenzione, e per tal guisa passammo alcune ore non solo piacevolmente, ma con profitto ancora, per la nostra istruzione».
«Intanto la principessa avendo udito che eravamo Tedeschi, ci domandò notizie dei signori Riedesel, Bartels, Munter, che tutti aveva conosciuti, apprezzando con finezza il carattere, ed il contegno di ognuno. Ci separammo con rincrescimento da lei, ed essa pure mi sembrò spiacente, di vederci partire. Quest’isolani vivono pure vita appartata, e non sono frequenti le occasioni, nelle quali possono rinnovare, scambiare le loro idee».

Johann Wolfgang Goethe, Ricordi di viaggio in Italia nel 1786-87 – Italienische Reise”, estratto dai luoghi siciliani visitati – traduzione dal tedesco di Augusto Nomis di Cossilla (1875)

«L’Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto. […] La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra […] chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita.»

Johann Wolfgang Goethe